giovedì 22 novembre 2012

fra indice e anulare

La notizia del giorno a Milano è che gli automobilisti sono un popolo di repressi sessuali e che le mamme sono inacidite pre-suffragette. Questa della denuncia del maxi poster di Belen in mutande è una notizia che lancia l'allarme su vari aspetti dell'italianità media, quella fra anulare e indice. 

L'indice. Quello delle mamme (mogli), rivolto ai propri mariti ormai succubi e sudditi del voyeurismo da Studio Aperto. All'urlo di "Chi penserà ai bambini?" è evidente la difesa dell'incapacità di educare lo sguardo dei propri figli. E come diceva Shun di Andromeda, «la migliore difesa è l'attacco». Attaccare la moralità irrisoria del mondo della pubblicità e dello sfruttamento dell'immagine in un periodo così vicino alle sante festività invernali. Invocare la pedagogia da strada - letteralmente: il potenziale pedagogico e violento di un cartellone pubblicitario "subìto" dal passante. Tutto in nome di quello sfuggevole concetto di appropriatezza che è impossibile definire. Appropriato significa adatto, azzeccato, pertinente rispetto a determinate esigenze. Una signorina già svestita in altre occasioni, con indosso dell'intimo di marca, situata a un crocevia con la massima visibilità dev'essere apparsa una cosa appropriata agli occhi del committente della pubblicità incriminata. Alle mamme (mogli) che puntano l'indice, invece, è sembrato l'opposto, visto che ci si avvicina alle feste (sic...?). 

L'anulare. Gli automobilisti verrebbero distratti dalla visione. Assistiamo quindi alla manifestazione di un problema del tutto maschile e eterosessuale? Immagino che ci si riferisca al fatto che l'immortalata e mutandata Belen sia considerata l'oggetto del desiderio fantastico di molti ometti sposati alle loro mogli (mamme) inquisitrici. Il presidente del comitato di quartiere si appoggia al potenziale rischio di distrazione degli automobilisti in un incrocio gia pericoloso senza che lo studioapertista di turno (mai sazio di immagini di tette e culi, dopo quelle di cuccioli buffi o eroici) si metta pure a guardare l'intimo di una soubrette. Mi chiedo: se ci fosse stato un Raul Bova? Perché non hanno mai additato il sempiterno cartellone di Beckham/Ronaldo in piazzale Loreto? Mutandati e ricchi di particolari potenzialmente dannosi per la concentrazione di donne (mogli, mamme) al volante e per l'innocente e ingenua integrità delle loro figlie? 

Ricapitoliamo?

I bambini subiscono la visione di immagini pubblicitarie che possono turbare il corretto sviluppo dell'immaginazione e dei valori profondi sulla consapevolezza e sul valore del corpo, il proprio e l'altrui. 
Il livello di attenzione al volante è basso, basta poco - come la pubblicità di biancheria intima (cosa mai vista prima di adesso) - perché l'automobilista perda il controllo della vettura.
Quando si avvicinano le feste natalizie in cui si celebra la venuta di loro signore sarebbe appropriato utilizzare immagini più consone. 

Tra l'indice e l'anulare c'è di mezzo un mare. Di medî. 

lunedì 29 ottobre 2012

una tesi come un'altra

In teoria il Sistema, inteso come insieme incrementale di intelligenze individualmente situate e collettivamente indirizzate al raggiungimento dell'obiettivo di autoperpetrazione del Sistema che creano, dovrebbe essere più intelligente della somma delle intelligenze.

Invece sembra che qualcosa, nell'algoritmo dell'interazione, si perda, come si disperde il calore in una qualche reazione chimicofisica.

In particolare il Sistema perde la componente della razionalità quotidiana, della strada, del mediocre certo, ma senza superare il mediocre, bensì scendendo di livello, vale a dire di capacità di comprensione della vita nelle sue fenomenologie più immediate.

Ne consegue che, invece di dare risposte a questioni sull'azione dell'esistenza, la complica, rendendosi facile bersaglio di una serrata critica da parte degli attori/componenti, spesso nei termini del comune "com'è che non ci pensano?".

Il Sistema è più stupido. Fa propria la psicopatologia della massa senza occuparsi della saggezza della folla.

Il problema è che una volta creato, il Sistema condiziona modi d'agire e di pensare di chi nel Sistema si colloca. Crea una mentalità di Sistema che si concretizza nelle scelte quotidiane d'azione e di pensiero.

E un Sistema che si dimostra ignorante genera interazioni ignoranti, vuote. Violenta le esistenze, generando violenza, rabbia. E stanchezza.

Il Sistema è un concetto stanco, come i bambini che piangono perché hanno sonno.

venerdì 27 luglio 2012

livore

Approvato il registro delle unioni civili a Milano... 
I commenti dei lettori su varie testate online, suddivisi per prospettiva.  

Apogaylipse, now

(...) come mai non si regolamentano anche le unioni poligamiche e/o incestuose? Ne esistono moltissime e chiaramente mi riferisco solo a quelle consenzienti. Vi sembra una provocazione? Beh..alcuni partiti politici che ora festeggiano e parlano di diritti riconosciuti hanno proposto spesso la depenalizzazione dell'incesto. 
Perché i terzetti devono essere discriminati? E i quartetti? I musulmani riusciranno a imporci le loro leggi anzi, siamo noi che stiamo pian piano portandoci verso di loro, pur di non far vedere che siamo cattolici facciamo di tutto.
Per non parlare dei gay...
Un'altra scatola vuota per accontentare chi porta voti. Uno normale, come il sottoscritto ed altri, non riesce a vedere questo grande passo avanti. Verso che cosa? Coppie di fatto ò una parola vaga che crea solo privilegi ad hoc, per gli amici. Poi, non parliamo dei gay,ma cosa vogliono di più di quello che già non hanno avuto dalla vita? Sono uguali agli altri in tutto e per tutto. Ora Pisapia si concentri sui problemi reali della città: (...)
Comunista! 
Il matrimonio è un impegno di fronte alla società, quindi di fronte allo Stato. Questo provvedimento offende lo Stato e tutta le società in quanto il "governo" Pisapia dimostra di fregarsene dei doveri che ci sono di fronte allo Stato e alla società tutta... per lo stesso motivo tutti dovremmo non pagare le tasse (che è un dovere di fronte allo Stato). Non serve a nessuno, tranne che ai gay.
Non è mai abbastanza, no no no
un altro passo per ghettizzare e diversificare dalla normalità le coppie di fatto, sia omosessuali che eterosessuali, altro che riconoscimento, bravi, andiamo avanti così, continuiamo a leccare la chiesa.
Spero da parte delle persone omoaffettive, ci sarà il rifiuto a sottostare a questo provvedimento. In attesa del matrimonio civile, anche fra persone dello stesso sesso.
non ha nessuna valenza pubblica , perché non è diretta alla famiglia e alla prole. E come tale non implica doveri e quindi non merita diritti. DIRITTI SOLO CON DOVERI
Ti insegno io come si fa il Comune!
Queste delibere comunali sono pura ideologia: assolutamente inutili dal punto di vista giuridico ! I Consiglieri Comunali di Milano pensino a fare gli ammimistratori e non giochino al piccolo legislatore!

Dove lo trovano tutto questo livore? Questo odio? Questa insofferenza?
Non sei infinitamente stanco?  


martedì 12 giugno 2012

domande senza risposta fanno il discorso nojoso / discriminazione e appartenenza

Spiegami un po': se io vedo una persona e ha un atteggiamento che mi dà fastidio, perché se io penso "frocio di merda" sono tacciato di omofobia o comunque si ritiene che il mio sia un pensiero discriminatorio, ma se lo pensi o lo dici tu, no?
[amico, eterosessuale]


Già, dov'è la differenza? C'è una differenza fra l'agire (che è dire) di una persona che si situa all'interno della discorsività di un'identità collettiva (1)  e quello di un esterno? Vale ancora il discorso della minoranza e dell'appartenenza che legittima l'adozione del repertorio di senso del discriminatore? 


Massimi sistemi, minimi concetti
All'interno di una realtà complessa, le componenti, seppure accomunate dall'appartenenza a una stessa categoria di definizione-pensiero, possono entrare in conflitto e confronto; può generarsi una dinamica di norma fra gruppi espressivi: l'apparente frammentarietà del panorama interno è la regola di ogni sistema complesso. I gay non sono tutti uguali, è una proposizione sempre vera. 

L'azione sessuale, diceva già Mieli nei suoi Elementi, non è un'azione identitaria in sé. L'unica cosa che ci accomuna è l'orientamento del desiderio. Lo stesso che accomuna gli eterosessuali. Per il resto, la declinazione individuale della pratica quotidiana del desiderio fa sì che gay sia solo una macro del pensiero-per-categorie e che l'individualità si preservi di fronte alla categorizzazione (generalizzazione) da parte dell'Altro. 
Di per sé ogni atto linguistico racchiude un giudizio sull'oggetto che lo riceve. L'azione comunicativa volontaria presuppone un'intenzione nella rappresentazione di quell'oggetto. Frocio di merda è quindi il risultato di una scelta linguistica fondata su: il giudizio che si ha del soggetto destinatario; il repertorio legittimato per la definizione del soggetto destinatario del messaggio; il repertorio legittimato per l'espressione dello stato d'animo nella situazione; la legittimazione sociale all'uso di un repertorio invece di un altro; la legittimazione alla reazione. Solo per citarne alcuni. Riassumendo: un archivio di espressioni riconosciute come appropriate per esprimere una reazione di disapprovazione di fronte alla presenza di un'identità che disapproviamo. La disapprovazione è precedente all'incontro con l'Altro, è interiorizzata, è attivazione di un dispositivo culturale che si chiama, nello specifico, omofobia (2)

Minimi sistemi, massimi concetti
Tra di noi ci si appella anche con termini mutuati dal linguaggio discriminatorio e rielaborati o riempiti di un senso comodo: checca, frocia, cula, sfranta. Spesso ci si dice: «A me non piacciono per niente le checche» «Sei una frocia» «Guarda che sfranta» «Non fare la checca isterica». E anche frocia di merda
Cosa c'è di diverso? La differenza è forse nell'intenzione (comunicativa)? O nell'appartenenza? La differenza è nella consapevolezza del portato di quell'espressione, consapevolezza che ci offre la possibilità di svuotarla della sua valenza discriminatoria per relegarla nel semplice reame della volgarità? 
La differenza è che il mio amico ha pensato a frocio di merda perché è l'essere frocio l'oggetto del contendere comunicativo? Pare che lui avesse riconosciuto nell'Altro un atteggiamento. E io chiamerei frocio di merda qualcuno perché è una persona di merda che riconosco come frocioL'appartenenza alla stessa identità collettiva garantisce la condivisione di un registro linguistico altrimenti discriminatorio? 








(1) Ogni identità collettiva genera un discorso, mette cioè in atto una serie di pratiche linguistiche e comunicative, quindi espressive, dell'identità stessa. È un repertorio si attiva in performance che si concretizzano nell'adozione di un determinato stile, sia questo di pensiero (come può esserlo un gergo o un certo consumo letterario, artistico) o di presenza (ad esempio l'abbigliamento, i luoghi frequentati) e che rendono coloro che appartengono al discorso dell'identità in questione riconoscibili a loro stessi, agli altri "membri" della comunità virtualmente definita e a coloro che non assumono parte nella performance di senso - riconoscimento che può essere conscio o meno. 
(2) L'idea del dispositivo culturale, come lo definisce Pedote nella sua Storia dell'omofobia, è molto vicina a quella del repertorio per la performance: richiede sempre un'attivazione. 

martedì 15 maggio 2012

fragile

C'è qualcosa che sa di mezza redenzione, in questo ricominciare da capo.
Come fosse il premio della mia pulizia, l'attestato di riabilitazione.
L'ultima prova è capire se quello che ti piace è l'entusiasmo dell'inesperienza. O l'inesperto. 



Sei così fragile che basterebbe un sussurro per distruggere la tua integra innocenza.
La tua mano. 

domenica 1 aprile 2012

disintossicazione di un automa_settimana#4

Sai, se una ragazza si avvicina a un ragazzo e gli chiede una sigaretta, per quanto quella ragazza possa piacere a quel ragazzo - e per quanto condividano una preferenza sessuale - lui le dà la sigaretta e la cosa finisce lì, non è che lui si sente in dovere di provarci né il fatto che lei non ci abbia provato, riconoscendo in lui un generico eterosessuale del sesso opposto, viene visto come un'occasione persa. Invece sembra che voi gay dobbiate sempre provarci. Quello si è avvicinato a te e ti ha chiesto una sigaretta - ed era palesemente gay - e tu gli hai dato una sigaretta, l'accendino e che tu non abbia fatto la battutina «vuoi anche il mio numero di telefono», che ci aspettavamo, beh, è stato bello. È stato bello vederti "umano". 

Riappropriarsi dei propri desideri, senza che siano loro ad appropriarsi di te. Ridisegnare i contesti, dare il giusto peso alle situazioni. Non vedere nel ce l'hai una sigaretta detto da un bel ragazzo un pretesto per il flirt. Siamo persone, non prede né occasioni svendute. 


sabato 24 marzo 2012

recensioni 2.0: Lana Del Rey, la demolizione dell'osanna

Alla fine mi sono concesso di ascoltare Born To Die di Lana Del Rey e devo dire che, sì, mi piace. Un piacere che non è amaro solo se si sa una cosa: il problema di Lana Del Rey è che prima è arrivato tutto il discorso su di lei, poi la sua musica. Pane per i denti di quel brutto giornalismo musicale che abbraccia l'approccio mai contenti, demolire almeno il 70% dell'artista, o l'altro metodo dell'osanna. In ogni caso, ne esce fuori la definizione di Lana Del Rey come hype - che poi, me la spiegate? Qualcuno ha provato a sintetizzare: ne parlano tutti, tutti ne parlano, troppo sulla bocca di tutti. Come se la notorietà non fosse un obiettivo per un artista. Ho letto su di lei, ho sentito voci, ho registrato giudizi e l'unica cosa che posso dire è che non me ne frega assolutamente niente. Come in ogni album, ci sono alti e bassi, qualcosa che potrebbe definirsi spaziare, sfuggire all'etichettamento facile. La sensazione è che la signorina Lizzy Grant si diverta un mondo a canticchiare i propri punti di vista sulle cose o su come dovrebbero essere vissute le esperienze. Così noi vorremmo fare l'amore sulle note di Blue Jeans, sperando che lui torni, o conoscere questa fantomatica Carmen che piace a tutti. Così come siamo consapevoli di essere tutti Born To Die, ma nel frattempo possiamo chiudere gli occhi e vedere quel Dark Paradise che aldilà dell'oscurità io vedo ben coreografabile da Lady Gaga. Solo per citare qualche brano di questo album che viaggia nello spazio dell'educazione musicale: Lana ha sicuramente ascoltato un sacco di PJ Harvey e Tori Amos (i primi due nomi che mi sono venuti in mente), ne ha mutuato gli stessi goticismi pop, l'uso della voce come nota dissonante; è amica di Florence Welch o perlomeno la stima; ha girato per locali mangiando club sandwich e bevendo Bloody Mary, forse con Lili Allen o Bat For Lashes. Cos'altro potete volere? Ascoltatevi i bridge, i cambi di registro, la sperimentazione silenziosa del già sentito ma mai troppo, e lasciate che sia lei a parlare e non tutto quell'entourage indiesnob che prima o poi dirà: io l'ascoltavo già nell'82, quando non era ancora nata.

giovedì 22 marzo 2012

l'appiattimento dell'orso

La comunità bear, all'interno del mondo gay, è sempre stato il rifugio di chi, non aderendo al canone della macchietta dell'omosessuale maschio, orientato al modello femmineo del magrodefinitoglabropassivo, si riconosceva in un ideale di comportamento in cui la mascolinità - nei suoi tratti socialmente e culturalmente delineati - non veniva negata, bensì messa al primo posto rispetto all'orientamento sessuale, che diveniva così una semplice espressione del desiderio. In particolare, nella comunità ursina il predominio della definizione era fisico e in contrasto con gli stereotipo della bellezza omosessuale: corporatura robusta se non morbida o addirittura sovrappeso; pelo sapientemente antiestetico secondo il canone, compreso quello (strano dirlo adesso) sulla faccia: barba, baffo. In generale un ideale di morbidezza e rilassatezza fisica in contrasto con il rigore dei definiti modelli efebici. Un uomo assolutamente normale, quasi anonimo, e come tale vario. Bearwww.com, uno dei principali luoghi di incontro virtuale per la bear community, offre una descrizione delle diverse tipologie di ursini, anche se su Wikipedia ce n'è una più esauriente. Sovrapponiamole 

Bear/Orso: uomo peloso, dalla corporatura robusta (musclebear se definito e/o palestrato) o corpulento, dall'aspetto mascolino, koala se biondo;
Cub/Cucciolo: orso giovane o dall'aspetto giovanile, (non sempre) meno corpulento di un orso;
Chubby/Orsone: uomo grosso non molto peloso, semplificando "ciccione";
Daddy(bear): orso maturo dall'aspetto rassicurante e paterno, in particolare silver daddy se ha il pelo grigio;
Chaser/Cacciatore: uomo non definibile come orso, ma attratto dalle quattro categorie precedenti, spesso sovrapponibile all'admirer, uomo (grosso o magro) cui piacciono gli uomini pelosi, e all'otter/lontra, uomo molto peloso, in genere con barba e pizzetto, solitamente non sovrappeso.

È indubbio che una tale organizzazione per categorie sia il risultato di un tentativo subculturale di diffondere in ampi strati della popolazione gay di un ideale di bellezza vicino all'uomo della strada, lontano dalla passerella dello stereotipo. 

Nata negli anni '80, la cultura ursina si è quindi diffusa velocemente, dapprima negli Stati Uniti, un decennio dopo dalle nostre parti. 

Ma come tutto quello che prende piede, presto fa moda. Su tutti i visi appaiono perfette sculture di pelo, il capello corto la fa da padrone. Soprattutto, le caratteristiche fisiche si declinano per età. La vecchia guardia mantiene la posizione bear, chubby, daddy, portando con disinvoltura una forma fisica già sedimentata nel tempo; la nuova generazione fa propri alcuni dettami dell'accettazione sociale, orientandosi al modello del musclebear e dando vita a quello che potrei chiamare musclecub; e se l'orso fa tendenza, tutti sono lontre che cacciano gli orsi che ammirano. 

Quello che era la ricchezza della comunità ursina: la varietà e l'accoglienza di ogni negazione del magro depilato muscoloso; la lotta per la morbidezza contro la dura dogmatica dell'estetica contemporanea; tutto questo si appiattisce così su tre, se non addirittura due grandi classi: grassi e magri, accomunati solo dall'amore per la genuinità del pelo. 

Forse il processo naturale di assimilazione di un prodotto culturale: la sua scomparsa, la sua dissoluzione.



mercoledì 21 marzo 2012

#


mi bruciano le labbra, sarà
il sale, sarà il limone sopra
questa carne cruda che sa
di gomma, che rimbalza
sulla pelle ogni caduta
di stile o forse è solo sporca
questa superficie della vita

venerdì 16 marzo 2012

#TGIF, then play it ►

♫ Yeasayer - Love Me Girl
 Röyksopp - Remind Me
♫ Buzzcocks - Ever Fallen In Love
Florence & The Machine - Rabbit Heart
Foo Fighters - All My Life
Sick Tamburo - E so che sai che un giorno
♫ Turin Brakes - Jackinabox



giovedì 15 marzo 2012

disintossicazione di un automa_giorno#11

L'unica prigione è quella in cui si vuole far finta di non vedere il buco nel muro.

Forse dovrei addirittura ringraziarlo. Dirgli grazie per esserti fermato, per avermi fermato. Sono passati così pochi giorni e già la tentazione di cedere - la metto giù troppo dura? Provo solo a dare un nome sonoro al ticchettio della tastiera. È stato troppo facile pensare di farcela, lui era così entusiasta di conoscermi, che il mio ego destrutturato ha sposato senza ma e senza se quello che sembrava il coniuge perfetto: un ragazzo solo in cerca di amici che confonde l'amicizia con i dolci morsi sul corpo. Mi ecciti, diceva. Pane per i miei denti stanchi della dieta. (E mi sono messo a dieta, un modo come un altro di tenere il controllo sulla materia nel tempo nemico dei buoni propositi). Ho frenato, ho fatto il gelo, ma lui scaldava. Non che mi piacesse, ma c'era (è questo il sufficiente). Se vuoi farti degli amici, non è così che si fa, pensavo di dirgli e forse gli ho detto. Ma lui. 

È in quell'istante che esci da te stesso e non sei più niente di più di quello che pensi di dover fare. Cogliere la provocazione (usare queste parole per giustificare un momento di debolezza). Eccomi, l'animale l'automa il messia del piacere dentro a un fazzoletto, fare il mio dovere di essere desiderante, trascinare l'altro come fossi una mantide - se affondo io, affonderai anche tu, toccare il fondale di questo mare notturno è troppa evidenza per farlo da solo; io ti rovinerò, per te non sarò che l'ennesimo che ha voluto concludere e che poi, che poi, che poi spariscono, dice. Non mi interessano le sue paranoie, le combatto con l'arma più potente, il calibrato lavoro del piacere semplice. Ma il traguardo mi è negato, dieci ore in magazzino sono stanco e poi non è giusto (io penso, lui dice o penso abbia detto, io ho pensato di sicuro). Hai superato la prova (tu? io?). 

Mi sono messo alla prova. Una mezza vittoria, forse. Hai superato la prova, dico. Nemmeno io volevo. Ora forse possiamo continuare a vederci, essere amici, andare fuori a bere, fare quelle cose di cui hai bisogno per non sentirti solo. Perché io mi sono visto in te, nella lotta che il tuo corpo ha ingaggiato per convincere il mio, voglio solo stare così, starei così ore; l'ignoranza beata del puro d'istinto. 

Disintossicarsi è anche reprimere, anzi no, è solo disciplina di sé. 

sabato 10 marzo 2012

disintossicazione di un automa_settimana#1

Arriva il momento in cui non ne trai più vero piacere; quello è il momento dell'automatismo. Assumi grandi quantità di sostanza perché l'effetto immediato è quello di aumentare la stima che tu hai di te stesso, pensando che il solo fatto di essere al centro di quella situazione significhi che sei una persona all'altezza di quella situazione. Ti senti più bello, più desiderato e desiderabile. Non ha più importanza da che parte arrivi quell'attenzione, chi sia il portatore della dose vuoi solo assumerla. Iniettare nella giornata un palliativo. È così che il sesso diventa droga e dipendenza. Magari stai frequentando qualcuno, ma non riesci a liberarti di quel bisogno che tutto sia consumato subito e ti tieni buono quello, mentre vai con l'altro, gli altri. Non c'è più conquista, solo una vittoria a tavolino. Lo sai già, lo sai sempre, anche se reciti la parte dell'appuntamento che mica è detto che. Diventi una persona orribile. 

Settimana 1
È una settimana che cerco di trattenermi, che rifiuto inviti semplici. C'è qualcosa che devo riconquistare, il gusto del cammino, della conquista. La tentazione di placare le mie insicurezze un orgasmo dopo l'altro è sempre forte, non mancano le occasioni - in questo stadio dire di  è più semplice di respirare. Ho incominciato la disintossicazione ed è difficile. L'astinenza, che ha sempre quel sapore catto-ascetico che dà fastidio, ma si tratta solo di astenersi dagli incauti acquisti. 
L'insicurezza del mio corpo fisico ha raggiunto livelli storici di problematicità. Tutto il resto giace in un involucro di repressione. Mi vedo molle, senza senso, per troppo tempo mi sono nutrito di facili attenzioni da letto e ora il digiuno mi fa venire i crampi. Ma il traguardo è importante, voglio tornare a camminare, uscire senza sapere come finirà la serata, coltivare il seme del desiderio, preparare il momento. 
Per ora relego i flirt allo spazio virtuale. Lì posso tenere sotto controllo eventuali crisi d'astinenza. E ogni tanto chiedo se magari, invece, una birra e due chiacchiere, allora vedo che come me ce ne sono ancora tanti, che collezionano indirizzi e indicazioni per i citofoni. 

venerdì 9 marzo 2012

il lamento del contapassi

È stato un ritorno a un'origine - quante origini abbiamo, nevvero? La serata è improvvisata, ché nell'improvvisazione risiede la salvezza del tempo che si svuota e si contrae, si impegna e si dilata - a noi soltanto il compito di decidere: il tempo come atto di volontà. Il clima è mite e un drink veloce nella parentesi al profumo di mimosa non può chiudere il discorso, ma è l'origine di un viaggio - quanti viaggi facciamo, eh? Corso Buenos Aires, Milano. Lima, tagliente questo passare di fanciulle a festa. Le sorpassiamo, di semaforo in incrocio, di traversa in marciapiede, di vetrina in vetrina, a scendere verso il casello di Porta Venezia. «Ma il parco sarà aperto?», chiedono le ore nove e passa sui nostri orologi. Il cancello aperto dovrebbe essere chiuso, c'è chi esce proferendo un malizioso pardon, ma un attimo di incontro non vale l'impresa che ci accingiamo a intraprendere. Circumnavigare, magellani urbani, il compagno di viaggio anela una minzione ombrosa, vicino al tempio delle stelle resta tutto aperto per lo spettacolo silente che ospita. High profile per noi - paroloni, se no che gusto c'è a esser semplici, poi? Poi ci incamminiamo, ed è solo corso Venezia e il quadrilatero del silenzio. C'è un sacco di silenzio che è esploso da quando siamo entrati nella città spagnola. Le strade sono vuoti panorami di facciate, fan paura tanto sono gotiche di pietra, come se ci avessero eruttato addosso, ai luoghi. Noi camminiamo e ritorniamo sulla via maestra, Corso Venezia è tutta un portone di vetro di case di uffici che nessuno abita o lavora. Lavorare un luogo è divertente, mi è uscita così, adesso. Tutto di facciata ci fa da spalla e tapis roulant. Le parole che si sprecano, ma i passi in via della Spiga non ce li leva quello snobbare la moda: scarpe che costano esponenti infiniti del costo di produzione e esclami solo «Negozi pei turisti», mentre sei turista nella tua città - non c'è niente di meglio del meravigliarsi dell'ovvio. Una porta manzoniana per localizzazione, via Manzoni ce la ingoiamo tutta, ristoranti che ci interrogano sulla propria resistenza, vicoli che sembra d'essere altrove - forse è più semplice non essercene mai accorti; e direzione scaligera per punti fermi, volta a destra, riesco a condurre in Brera, ma solo di straforo, gira di qua, che bel vicolo che sembra d'essere in calle veneziana - ci sei mai stato non ricordo oh mi fa impazzire l'orientamento c'hai tre direzioni e guarda che questa è cieca, spuntiamo su qualche altro versante, c'è una chiesa e dove c'è chiesa c'è piazza. Desolante però siamo solo io e te, te e io e una città vuota nelle viscere, parliamo degli zombie e immaginiamo gli zombie nella nebbia assassina di un universo parallelo. Finora solo il vuoto nelle vie, finestre nemmeno tanto accese, nessuno a osservare i viandanti, pochi e veloci. La violenza della cerchia sul nucleo ha qui le sue vittime impalate alle pareti e ai tombini. Il centro commerciale dello spreco, una vita negata al centro. Bene, dove si va adesso, ho sete e male ai piedi, fonte ultima, estrema Thule (si scrive così?), proviamoci al baracca di Cairoli, due birre e una ciarla, così come è cominciata finirà, a volte pioveggia senza molto clamore, gli astanti s'allungano nell'atto alla mezzanotte e noi, noi siamo solo i passi che abbiamo in corpo, che non li perdi, li acquisti.  

venerdì 24 febbraio 2012

occhi per leggere forme

C'è qualcosa, nel modo di creare di Diego Mariani, che mi fa venire in mente solo una parola: dissoluzione. Quello che vedono gli occhi di Diego è un mondo che rinnega la forma conosciuta delle cose, ha bisogno di accennare alla realtà come fa un invitante documentario, di quelli che alla fine ti dici: «Eh no, ora voglio vederlo anche io!». L'arte è riproduzione del paesaggio interiore e per questo assolutamente/squisitamente incompleta e imperfetta è l'opera in sé, che  si bea della libertà di divenire tela, libro, immagine o parola o qualunque cosa di cui abbia bisogno per tenere insieme i pezzi di una visione che si dissolve costantemente. E il solvente sei tu che guardi e dai un nome alle cose, è la tua azione cognitiva che ricompatta il colore sotto lo sguardo scrutatore dell'opera. Se poi ci mettiamo una bella commistione fra pittura e scrittura... La creazione si fa occhio sulla realtà che la circonda e invita a condividerne il panorama. È lì che si vorrebbe arrivare, a quel momento in cui l'orizzonte dell'opera e dell'osservatore si sovrappongono.

23 febbraio - 22 marzo 2012
@ EdiQ Bookshop - L'isola dell'introvabile
via Pastrengo, 5A - Milano

giovedì 23 febbraio 2012

maya

e pensare che un anno fa stavo per cominciare a cercare casa con l'amica A. Ora l'amica A. andrà a vivere con il suo ragazzo e ha già iniziato il transfert di sé all'Altrove. E conoscevo chi mi avrebbe detto, di lì a pochi giorni, il ti amo più breve della storia del Romanticismo, consumato in poche giornate preprimaverili. Così iniziava forse la vita dell'adulto, pregustando lo scenario possibile di un futuro che già non mi somiglia più. Come mi hanno sussurrato all'orecchio stamattina: «Io che credevo di trovarmi nella giusta direzione, racchiudo tutte le patologie di una generazione». Forse non siamo soltanto la generazione del crollo dei muri, siamo anche la generazione della fine del mondo da un momento all'altro. Si facevano progetti, dodici mesi fa, si creavano mondi che nemmeno la macchina infernale di Fringe. Ciascun mondo destinato alla sua data maya. Che senso ha la battaglia? E comunque posi l'ascia a primavera.

venerdì 3 febbraio 2012

fedone moderno


Una inutile precisazione. Sono tre i motivi che mi spingono a chiedere/accettare una friend request su Facebook. 
Innanzitutto, l'amicizia, intesa come sentimento del legame nell'eventualità del progetto; in altre parole, persone che reputo amiche e con cui ho da scambiarmi anche solo un like ogni tanto, ma della cui esistenza per me è importante seguire ogni sviluppo, perché sento che ha a che fare con la mia. Anche via Facebook. La seconda categoria di contatti è quella della vicinanza, della conoscenza generale che può da un momento all'altro generare interessanti scambi, gente da tenersi buona, che male non fa (vecchi compagni di scuola,  il cugino dell'amico del testimone...) Infine la terza categoria, la più interessante nella riflessività delle mie riflessioni allo specchio del blog, quelli che rientrano nella pure e semplice contemplazione del bello, individui con facce che voglio vedere tra le pagine del mio libro, gineprai di curiosità indolente to poke quando capita, scambiarsi due parole e chissà. 
Insomma ci sono quelli sempre, quelli ogni tanto e quelli sai mai. Il tutto nell'incredibile caleidoscopio delle categorie, perché nessuno vieta di passare da un insieme all'altro. E così, la tripartizione è compiuta hegelianamente, Gallia est omnis divisa in partes tres e io ho saziato la mia vanità da scrittore. La mia coscienza contempla beffarda l'autoreferenzialità del tutto. 
 

martedì 24 gennaio 2012

mash up : alberi

Dio solo sa se questa città ha alberi. Nel caso, noi ci saliremo e sputeremo in testa a chi si avvicinerà. 









Chissà che fine farà, la nostra città; non torneremo più.

Credits:
Verdena,  Caños, Requiem, 2007
Ministri, Gli alberi,  Fuori, 2010