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venerdì 25 settembre 2009

l'ultimo messia

Da qualche tempo a questa parte la mia ipocondria, aldilà degli effetti negativi sulla mia mente e sul mio rapporto con il mio corpo, mi ha permesso di aprire un terzo occhio che guarda attentamente alla salute della mia vita relazionale. Ho scoperto di soffrire, se così si può dire, di due sindromi, o meglio di due modalità non del tutto sane di rapportarmi con l'Altro. Una riguarda il mio rapporto con l'Altro Sentimentale, l'altra quello con l'Altro in generale.
La prima penso si possa chiamare sindrome del missionario, e brevemente consiste nel provare affetto, desiderio di protezione, e anche una improvvisa attrazione mentale (e talvolta carnale) verso soggetti che mi si rivelano portatori di vite problematiche, e che magari precedentemente non consideravo alla stregua di esseri degni di nota; il problema di questa sindrome è l'assunto che io sia una sorta di persona particolare in grado di sostenerti e di renderti la vita migliore con la mia sola vicinanza, quindi "amami!".
La seconda è una sindrome che non so come definire, ma che in un certo senso contiene la prima: io devo essere amato da tutti, non assumo come reale la possibilità che qualcuno possa avercela con me o non volermi bene o farmi del male (nemmeno pensarlo); in una parola, forse si potrebbe dire compiacere. Questo non significa che io sia un paraculo, ma che il mio alto livello di adattabilità alle situazioni si sposta sulle persone nelle situazioni, e risulta in un atteggiamento conciliatorio verso il conflitto, aperto alla pacificazione e alla mediazione fra le parti, in cambio del riconoscimento della mia dote messianica (così ci ricongiungiamo alla prima sindrome); in altre parole "amami!". In questo caso, però, è più sintomo di una debolezza, che modalità attiva di relazione.

Forse soffro anche di un'altra sindrome, che mi porta a dire a chiunque "amami!" perché, su, diciamocelo, non puoi non volermi bene se mi conosci; ma ci sto ancora lavorando, per evitare semplicismi e riduzioni.

giovedì 3 settembre 2009

che caldo!

In attesa nella sala (d'attesa) dello studio (medico) del mio medico. Per la solita tonsillite follicolare. Su scomode sedie che non mi ostacolano tuttavia nell'attività quasi panchinistica.
È bello scambiare con gli astanti attendenti quattro chiacchiere e raccontarsi delle proprie patologie e delle teorie sulla vita e sulla malattia. Si chiama riflessività del sapere, quando i saperi esperti entrano nella nostra vita e li facciamo nostri e ci troviamo tutti a improvvisarci medici, filosofi, avvocati, e via dicendo.
Comune dà un senso di mezzo gaudio, di comunità del e nel dolore.
E sempre, sempre, "Che caldo che sta facendo quest'anno".

mercoledì 12 agosto 2009

quest'ansia

"Lei cosa fa? Lavora?"

Questa la prima domanda, o una delle prime, di una dottoressa, appena le dico di accusare dei dolori, delle fitte occasionali al petto. E che ho la sensazione "di avere il cuore" (sic! nel referto clinico). Si procede con l'Elettrocardiogramma, con la misurazione della pressione, con l'auscultazione del petto.

"In realtà, no, mi sono laureato a settembre... È un anno che sono fermo".

Allora è ansia. Il cuore malato soffre quando è sotto sforzo, non quando si sta calmi.
Il gramma è tutto a posto. Faccia un po' di attività sportiva.
O si calmi.



Allora, è ansia.