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martedì 12 giugno 2012

domande senza risposta fanno il discorso nojoso / discriminazione e appartenenza

Spiegami un po': se io vedo una persona e ha un atteggiamento che mi dà fastidio, perché se io penso "frocio di merda" sono tacciato di omofobia o comunque si ritiene che il mio sia un pensiero discriminatorio, ma se lo pensi o lo dici tu, no?
[amico, eterosessuale]


Già, dov'è la differenza? C'è una differenza fra l'agire (che è dire) di una persona che si situa all'interno della discorsività di un'identità collettiva (1)  e quello di un esterno? Vale ancora il discorso della minoranza e dell'appartenenza che legittima l'adozione del repertorio di senso del discriminatore? 


Massimi sistemi, minimi concetti
All'interno di una realtà complessa, le componenti, seppure accomunate dall'appartenenza a una stessa categoria di definizione-pensiero, possono entrare in conflitto e confronto; può generarsi una dinamica di norma fra gruppi espressivi: l'apparente frammentarietà del panorama interno è la regola di ogni sistema complesso. I gay non sono tutti uguali, è una proposizione sempre vera. 

L'azione sessuale, diceva già Mieli nei suoi Elementi, non è un'azione identitaria in sé. L'unica cosa che ci accomuna è l'orientamento del desiderio. Lo stesso che accomuna gli eterosessuali. Per il resto, la declinazione individuale della pratica quotidiana del desiderio fa sì che gay sia solo una macro del pensiero-per-categorie e che l'individualità si preservi di fronte alla categorizzazione (generalizzazione) da parte dell'Altro. 
Di per sé ogni atto linguistico racchiude un giudizio sull'oggetto che lo riceve. L'azione comunicativa volontaria presuppone un'intenzione nella rappresentazione di quell'oggetto. Frocio di merda è quindi il risultato di una scelta linguistica fondata su: il giudizio che si ha del soggetto destinatario; il repertorio legittimato per la definizione del soggetto destinatario del messaggio; il repertorio legittimato per l'espressione dello stato d'animo nella situazione; la legittimazione sociale all'uso di un repertorio invece di un altro; la legittimazione alla reazione. Solo per citarne alcuni. Riassumendo: un archivio di espressioni riconosciute come appropriate per esprimere una reazione di disapprovazione di fronte alla presenza di un'identità che disapproviamo. La disapprovazione è precedente all'incontro con l'Altro, è interiorizzata, è attivazione di un dispositivo culturale che si chiama, nello specifico, omofobia (2)

Minimi sistemi, massimi concetti
Tra di noi ci si appella anche con termini mutuati dal linguaggio discriminatorio e rielaborati o riempiti di un senso comodo: checca, frocia, cula, sfranta. Spesso ci si dice: «A me non piacciono per niente le checche» «Sei una frocia» «Guarda che sfranta» «Non fare la checca isterica». E anche frocia di merda
Cosa c'è di diverso? La differenza è forse nell'intenzione (comunicativa)? O nell'appartenenza? La differenza è nella consapevolezza del portato di quell'espressione, consapevolezza che ci offre la possibilità di svuotarla della sua valenza discriminatoria per relegarla nel semplice reame della volgarità? 
La differenza è che il mio amico ha pensato a frocio di merda perché è l'essere frocio l'oggetto del contendere comunicativo? Pare che lui avesse riconosciuto nell'Altro un atteggiamento. E io chiamerei frocio di merda qualcuno perché è una persona di merda che riconosco come frocioL'appartenenza alla stessa identità collettiva garantisce la condivisione di un registro linguistico altrimenti discriminatorio? 








(1) Ogni identità collettiva genera un discorso, mette cioè in atto una serie di pratiche linguistiche e comunicative, quindi espressive, dell'identità stessa. È un repertorio si attiva in performance che si concretizzano nell'adozione di un determinato stile, sia questo di pensiero (come può esserlo un gergo o un certo consumo letterario, artistico) o di presenza (ad esempio l'abbigliamento, i luoghi frequentati) e che rendono coloro che appartengono al discorso dell'identità in questione riconoscibili a loro stessi, agli altri "membri" della comunità virtualmente definita e a coloro che non assumono parte nella performance di senso - riconoscimento che può essere conscio o meno. 
(2) L'idea del dispositivo culturale, come lo definisce Pedote nella sua Storia dell'omofobia, è molto vicina a quella del repertorio per la performance: richiede sempre un'attivazione. 

martedì 13 luglio 2010

where are you Fromm?

Penso che l'alternativa non sia tra essere e avere, quanto tra essere e fare. Il primo riguarda uno stato, una condizione persistente, così come l'avere, il possesso. Il fare ha a che vedere con l'azione, con il mutamento di una condizione, di uno stato della materia di cui è fatta la vita quotidiana. L'errore fondamentale è però quello di sentire di dover scegliere fra i due poli. Ma posta nei nuovi termini, la contrapposizione non è più tale, e ci si può benissimo muovere fra lo stare e l'agire.

Penso che ciascuno debba conservare un'essenza, senza scendere a compromessi affinché il proprio essere si adatti alle esigenze degli altri. In un certo senso non bisogna fare nulla sull'essere, niente che sia violento ed eccessivamente traumatico. A costo di non essere mai il tipo di nessuno, o di non essere mai il tipo di quelli di cui dovresti poter essere il tipo. Questo, naturalmente, è autobiografico.

Penso che ci si ritrovi spesso nella condizione in cui si pensa di non essere, non avere, non fare mai abbastanza. O di esserlo o farlo male. Ci si chiede allora se stiamo facendo il possibile, il famigerato tutto il possibile, e spesso, valutate le proprie mosse, ci si risponde affermativamente, che stiamo agendo come dovremmo agire per non violentare il nostro essere, ossia per non farci danno, sebbene alla fine il danno si riveli essere proprio il non mutare la condizione nei modi che il fare presupponeva. 

L'autobiografia di un'estate, e siamo solo all'inizio. 

martedì 22 giugno 2010

il teorema del fesso

Non ci sono solo il dito e la luna. Tra il dito e la luna ci sono 384400 km, non esattamente bazzecole. Insomma, tra il dito e la luna io non scelgo né il dito, né la luna - scelgo lo spazio di possibilità che si situa fra i due eventi, l'evento dito e l'evento luna. Dato che non mi è concessa la possibilità di guardare entrambi, non ne guardo nessuno. Anche se comunque preferirei il dito, ché non sai mai che persona ci puoi trovare attaccata. 

lunedì 10 maggio 2010

non proprio lineare

Se R è la relazione, i l'identità, s lo scambio (reciprocità) e f la fiducia, una relazione è

R = f (i, r, f) = f(i) g(r) h(f)

Non è facile stabilire le relazioni interne a questa funzione. Però possiamo pensare che ciascuna variabile sia, per l'appunto, una variabile, così che

se l'identità è un processo, che parte da un nucleo costante k che interagisce con l'esterno (i - k), ma non in maniera lineare, quindi abbiamo che

i = k (i - k)^n

la fiducia è un'aspettativa di reciprocità, per questo è definibile in termini di probabilità, quindi

f = p (s), da cui s = p (1 - f)

manca da definire la reciprocità, che ha a che fare con lo scambio, e quindi con lo stock di identità e fiducia che ciascuno è disposto a dare,

s = (i)(f) = [k(i-k)^n] [p(1-f)] = p (1-f) k (i - k)^n

Da cui

R = k . f(1-k)^n . k . g[p(1-f)(i-k)^n] . k . h[p(1-f)(i-k)^n]

ma f(1-k)^n è una costante, quindi

R = K . t[p(1-f)]

e essendo p(1-f) la reciprocità, è chiaro come la relazione R si basi su questo principio, e come questo dipenda dalla fiducia (aspettative) e dall'identità dei protagonisti.

Aldilà degli errori che, matematici o meno, dobbiamo commettere.

mercoledì 17 marzo 2010

superare la nostalgia

Cos'è la nostalgia? Il ricordo della felicità passata. Risultato di un meccanismo della mente che agisce per comparazione. Tende a riprodurre i modelli di benessere dati per certi, costruendo su questa base il presente e l'immediato futuro. La nostalgia è così un meccanismo di rassicurazione che entra in gioco nel momento dell'incertezza. Ma la nostalgia è anche frutto di un certo modello mentale che l'individuo ha difficoltà ad abbandonare, un modello che riguarda quello che l'individuo pensa che sia quello che deve essere/fare/avere. Quando si incontra una persona, per esempio, e si entra in relazione, spesso si compara con il passato, e in particolare con quello che nel passato ci ha resi felici, e si crede che siano le uniche cose che anche nel presente e nel futuro potranno renderci nuovamente felici, creando in noi delle aspettative sul comportamento dell'altro. Quando si comincia un nuovo lavoro, magari in un settore diverso da quello passato, nel caso in cui quello passato sia stato il settore in cui desideriamo lavorare per la vita, sarà difficile non sentirsi fuori luogo, non desiderare le cose che un tempo erano fonte della nostra serenità (complessiva).
Tutto questo nel caso in cui la comparazione conduca a una riflessione del tipo: se B non è come A, mi fermo ad A. Nel caso invece in cui, nonostante B non sia come A, si cercasse di dire: ok, B non è come A, in A stavo bene, in B ancora non lo so, però posso provare a mettere un po' di A in B e fare un percorso del tipo da A a AB a B, si può pensare di costruire qualcosa di buono senza rinunciare al ricordo della felicità passata. La nostalgia nasce quando non si è sicuri di ciò che si è lasciato, o di ciò che è passato.
Si tratta, come sempre, di cambiare prospettiva. Disimpegnare il peso del passato.