venerdì 9 marzo 2012

il lamento del contapassi

È stato un ritorno a un'origine - quante origini abbiamo, nevvero? La serata è improvvisata, ché nell'improvvisazione risiede la salvezza del tempo che si svuota e si contrae, si impegna e si dilata - a noi soltanto il compito di decidere: il tempo come atto di volontà. Il clima è mite e un drink veloce nella parentesi al profumo di mimosa non può chiudere il discorso, ma è l'origine di un viaggio - quanti viaggi facciamo, eh? Corso Buenos Aires, Milano. Lima, tagliente questo passare di fanciulle a festa. Le sorpassiamo, di semaforo in incrocio, di traversa in marciapiede, di vetrina in vetrina, a scendere verso il casello di Porta Venezia. «Ma il parco sarà aperto?», chiedono le ore nove e passa sui nostri orologi. Il cancello aperto dovrebbe essere chiuso, c'è chi esce proferendo un malizioso pardon, ma un attimo di incontro non vale l'impresa che ci accingiamo a intraprendere. Circumnavigare, magellani urbani, il compagno di viaggio anela una minzione ombrosa, vicino al tempio delle stelle resta tutto aperto per lo spettacolo silente che ospita. High profile per noi - paroloni, se no che gusto c'è a esser semplici, poi? Poi ci incamminiamo, ed è solo corso Venezia e il quadrilatero del silenzio. C'è un sacco di silenzio che è esploso da quando siamo entrati nella città spagnola. Le strade sono vuoti panorami di facciate, fan paura tanto sono gotiche di pietra, come se ci avessero eruttato addosso, ai luoghi. Noi camminiamo e ritorniamo sulla via maestra, Corso Venezia è tutta un portone di vetro di case di uffici che nessuno abita o lavora. Lavorare un luogo è divertente, mi è uscita così, adesso. Tutto di facciata ci fa da spalla e tapis roulant. Le parole che si sprecano, ma i passi in via della Spiga non ce li leva quello snobbare la moda: scarpe che costano esponenti infiniti del costo di produzione e esclami solo «Negozi pei turisti», mentre sei turista nella tua città - non c'è niente di meglio del meravigliarsi dell'ovvio. Una porta manzoniana per localizzazione, via Manzoni ce la ingoiamo tutta, ristoranti che ci interrogano sulla propria resistenza, vicoli che sembra d'essere altrove - forse è più semplice non essercene mai accorti; e direzione scaligera per punti fermi, volta a destra, riesco a condurre in Brera, ma solo di straforo, gira di qua, che bel vicolo che sembra d'essere in calle veneziana - ci sei mai stato non ricordo oh mi fa impazzire l'orientamento c'hai tre direzioni e guarda che questa è cieca, spuntiamo su qualche altro versante, c'è una chiesa e dove c'è chiesa c'è piazza. Desolante però siamo solo io e te, te e io e una città vuota nelle viscere, parliamo degli zombie e immaginiamo gli zombie nella nebbia assassina di un universo parallelo. Finora solo il vuoto nelle vie, finestre nemmeno tanto accese, nessuno a osservare i viandanti, pochi e veloci. La violenza della cerchia sul nucleo ha qui le sue vittime impalate alle pareti e ai tombini. Il centro commerciale dello spreco, una vita negata al centro. Bene, dove si va adesso, ho sete e male ai piedi, fonte ultima, estrema Thule (si scrive così?), proviamoci al baracca di Cairoli, due birre e una ciarla, così come è cominciata finirà, a volte pioveggia senza molto clamore, gli astanti s'allungano nell'atto alla mezzanotte e noi, noi siamo solo i passi che abbiamo in corpo, che non li perdi, li acquisti.  

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