Siamo una generazione? Una generazione si definisce in base alla visione del mondo che la accomuna, indipendentemente che i soggetti la condividano o la contrastino. La generazione non è solo un elemento genealogicamente fondato, ha a che fare con i cambiamenti che l'individuo vive durante la sua crescita, con le tappe della storia del mondo attraverso cui passa, che le viva in prima persona o che solo sia sfiorato dai suoi effetti. Appartengono a generazioni differenti quelli che hanno una certa età in un certo momento storico, perché le opportunità di vita e pensiero che si possono cogliere, coltivare, seguire, sono diversamente distribuite lungo il cammino della collettività. In altre parole, ogni generazione si muove sullo sfondo di un sistema complesso di valori dominanti, opportunità di scelta individuale e collettiva – in un certo senso, politica – e ancora opzioni morali, atteggiamenti verso la realtà e pensieri su come la stessa funzioni, interpretazioni che si formano tramite la visione della vicenda collettiva e l'intersecarsi inevitabile di questa con la vicenda individuale; il tutto sistema collocato nello spazio e nel tempo. La generazione è come una comunità debole di pensiero, una mentalità che l'individuo assorbe e che reitera, riproduce nel resto della propria esistenza, utilizzandola come filtro.
Che generazione siamo noi, quelli che sono nati in Italia dopo il piombo e prima del crollo del muro di Berlino, nella prima metà dei rampanti Ottanta? Che mentalità generazionale abbiamo, conserviamo, e quasi senza saperlo utilizziamo quotidianamente nella ricerca dei modi di raggiungimento dei nostri obiettivi?

Studiammo, ci preparammo, ci credemmo, ma poi qualcosa è cambiato, ora siamo una generazione che non ha le opportunità su cui pensava di contare, una generazione il cui valore e la cui formazione – gli anni dedicati a conquistare una propria identità culturale e intellettuale – sono quotidianamente misconosciuti o addirittura disconosciuti. Ci viene detto che siamo troppo preparati, troppo formati, per ambire a delle semplici occupazioni. Ci viene detto che, per tutelare la nostra grande formazione, non possono impiegarci in un'attività. Ci viene rinfacciato il fatto che pretendiamo. La nostra mentalità generazionale viene utilizzata contro di noi, come se fossimo colpevoli di aver seguito le aspirazioni che coltivammo nei campi della Storia, nei solchi che l'aratro delle nostre storie individuali avevano creato. Dovevamo essere la generazione che avrebbe soppiantato ilrampantismo eighties degli eterni Peter Pan usciti da un'infanzia segnata dal piombo e dalla strage delle idee dei Settanta. Potevamo essere coloro che avrebbero accolto la generazione del benessere, quelli che avrebbero vissuto il mondo dopo la fine dei muri, e che poi si sono beccati la società globale della paura, con i suoi 11 settembre e tutto il conseguente. Invece gli ex-rampanti ce li ritroviamo di fronte a non-selezionarci per un lavoro, e lagenerazione 11 settembre mette video su Youtube e, volenti o nolenti, si stanno crescendo da soli.
Non siamo collocabili, nello spazio. Quindi esistiamo solo come tempo, e come tempo passiamo.
Grazie.
Gianmarco
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