giovedì 28 gennaio 2010

my family's role in the world revolution*

Io ho bisogno di una rivoluzione. Una rivoluzione del pensiero, che scenda in piazza in silenzio. Che cambi la mente. Da lì parte tutto. Per iniziarla, ho bisogno di un esilio, di una latitanza. La lotta ha diverse fasi: la creazione di un codice comprensibile solo a chi ne fa parte, la guerriglia, la latitanza e la prigionia. Il codice ce l'ho. La guerriglia è quotidiana, si chiama militanza. È ora di andarsene, di scomparire. E da lontano osservare, imparare, crescere, organizzare, per poi tornare. Alla rivoluzione.

*canzone dei Beirut, da 'Lon Gisland', 2007

martedì 19 gennaio 2010

riflessioni a freddo

Ho da poco finito di guardare una puntata del Grande Fardello. Al momento delle nomination, una nomina uno e come motivazione dice qualcosa che è più o meno: «Lo nomino perché è freddo». Perché essere freddi è a priori un difetto? Non può essere semplicemente un modo di essere, una qualità di una persona? Perché è un destino di cattiveria e malvagità, di solitudine? Io sono una persona per lo più (e per i più) fredda in moltissimi momenti delle mie interazioni. Il calore è qualcosa che si costruisce, e comunque non è un valore di per sé. Due persone fredde possono interagire in maniera calorosa, ma non è che debbano farlo, perché altrimenti l'interazione è meno preziosa. Perché il calore è bene e il freddo è cattivo? Spesso alla freddezza è associato il calcolo, al calcolo è associato l'eccesso di razionalità, e la razionalità è sinonimo di opportunismo, di utilitarismo bieco. Ma il freddo non è assenza di sentimenti, è solo un modo diverso di rapportare i propri sentimenti con il mondo. Colpa del Romanticismo che ha esaltato l'irrazionale dopo l'esaltazione illuministica della Ragione? Il complesso non è il caotico, è solo il complesso. La complessità che è ormai paradigma delle cose ha in sé una linearità, da cogliere. Ha più linearità. Ed è una complessità che non è sinonimo di movimento e allora calore. Anzi, quanto di tutto quello che si muove nella complessità dei moti browniani, ci dà l'idea di qualcosa di caldo, ossia, nell'ideologia comune, di umano? Tutti odiano l'inverno perché è freddo, amano l'estate perché è calda. Però il gelato lo mangiano anche a gennaio. Cattivo, gelato, cattivo!
Cose da non blog, ma le scrivo qui.

lunedì 18 gennaio 2010

casi umani, episodio 04

Sempre più di frequente frequento frequentemente le chat. Così oggi parlerò di quello che mi sembra un tipo che emerge da questi ambienti di discorso: il Chatter.
Essendo una persona virtuale, non posso darvi un identikit rigoroso. La sua tipizzazione si basa sul suo comportamento discorsivo. Il tipico individuo chattante di una chat gay sembra perdere per l'occasione ogni senno. La sua capacità di inanellare un discorso con un valore (anche minimo) è ridotta a poche, canoniche, formule. Provate a contattarlo, cambiando nickname ogni volta. Avrete sempre lo stesso, identico, schema (il Chatter è in corsivo):

- Ciao
- Ciao
- Come va?
- Bene, e tu?
- Bene
(pausa)
- Cosa fai qui? (curiosità di chi cazzeggia in chat come me, ndr)
- Cazzeggio (uh, uno come me, chissà che non si possa cazzeggiare e conoscersi un po', ndr)
- Anch'io.
- Come sei?
- (descrizione sommaria delle misure significative, ndr)
- Io (misure fisiche e anagrafiche)
- Ok
- Ti va sesso?
- Veramente sono qui così, per passare il tempo e magari trovare qual...
- a o p?

E via dicendo. Di solito, quando capiscono che sei davvero lì per due chiacchiere, appare qualcosa che suona più o meno come

[L'utente ha lasciato la chat privata]

Altro da dire?
Non c'è rimedio, se non smettere di provarci. A volte va meglio, ma si contano sulla mano di un monco.

[L'utente ha abbandonato il blog]





domenica 17 gennaio 2010

roaming in the night*

Sono tornato da Masteria. Ufficiosamente ora sono un Criminologo. Insomma, lo sono, sono un master of puppets in questa disciplina. La festa s'è fatta e a grande soddisfazione: pranzo post discussione, ettolitri di alcol sotto diverse forme, un tentativo di cibarci all'indiano, il ripiego al solito cinese, e poi molleggiare fino al mattino a ritmo di giangolreggheddramenbass, baci a tutti, labbra di amore infinito amore, non vale più alcuna differenza, siamo una cosa sola, una umanità in pista. Da domani è solo futuro. Il passato lo lasciamo a venerdì, quando, nel tentativo di non incontrare Mister Tantiamicicosì, l'ho incontrato davvero casualmente. Questo ha ancora a che fare con il karma e la sua imperfezione, o con il male e il destino della sofferenza, o forse solo con la sfiga e con lui. Bello come il sole improvviso nella notte buia, vestito di un nero raggiante. Sistemato. Elegante. Dove vai, bello? Non doveva succedere, nemmeno che tu, richiamato da chi ha urlato il tuo nome, non io, ti fermassi a stringere mani e baciare guance (che buon odore che avevi, e la tua barba era morbida), che ci invitassi ad una festa - che poi ti pare che noi l'ultima sera ce la giochiamo con festa a casa e ballatina postdomestica? - e mi ricordassi che "Oh, Giammy, tanto tu hai il mio numero, nel caso mandami un messaggio". Nel caso stica. Come se nulla fosse. Come se non fosse successo niente. Meglio prima che dopo, comunque. Meglio capirlo prima, che questo è, senza dubbio, essere solo innamorati. È sempre lo stomaco che te lo dice. E non importa che mi diciate che è uno stronzo, che non è interessato, che perdo il tempo con uno che nemmeno ecc... Questo è essere così, amare comunque.
Ora però è solo futuro, e il prossimo chiodo scaccerà questo chiodo. Come sempre. Anche se mi rendo conto che le mensole sono tutte storte. Che ci voglia una livella?
Ora è solo futuro, un grande buco. Speriamo solo ci sia un buffet, nel caso in quel buco ci rintaneremo. E lo arrederemo. Con mensole, dritte.

*The Heinrich Maneuver, 'Our Love To Admire', Interpol, 2007

martedì 12 gennaio 2010

walk, unafraid*

Ho camminato. Non molto, due chilometri e settecento metri o poco più. Nella borsa, come un totem, il libro sul camminare che ho ricevuto a natale, l'agendina nuova ricevuta per natale, una penna ricevuta a caso, e la tabacchiera di corto. Ho camminato perché ieri sera ho fatto un incidente in macchina. Non ci possono essere due verdi in contemporanea, e io già lo avevo. Mentre cammino penso a canzoni che abbiano a che fare con il camminare. Me ne vengono poche, and I'm walking through the clouds (Corrs), ma non c'entra molto, o non voglio che c'entri. Allora penso alla litania di we walk (Ting Tings), ma mi infastidisce. C'è anche la nuova walk the fleet road (Editors), ma so solo il titolo, non l'ho ancora interiorizzata. Allora finisco per canticchiare mentre cammino.
Così io amo le mie vie.

*Walk Unafraid, 'Up', REM, 1998

lunedì 11 gennaio 2010

you don't know love like you used to*

Certo che è da idioti stare qui, dopo aver inviato il terzo elaborato finale della mia vita, a farsi sommergere da pensieri di telefoni che non squillano. Perché lo sto facendo? Perché io... vorrei... che... mi... chiamasse... ? Vorrei che quel telefono squillasse, che mi dicesse che vuole vedermi, che vuole vederci, che ci vediamo al solito posto.
Mi vergogno di pensarlo. Mi dico: chiamo io, in questi giorni. Ma poi, come posso chiamarlo? Come posso chiamarlo sapendo quello che ha detto alle due cagnettine custodi? Sapendo che voleva parlarmi ma poi non lo ha fatto? Non voglio che veda il mio nome sul cellulare e dica "oddio, ancora lui". Io il coraggio di chiudere non l'ho avuto allora, e non... vorrò... averlo adesso, né in futuro.
Cerco il dolore? O è solo un pensiero che ha trovato spazio in una sera solitaria?
Chi non risica non rosica, dice la Pasionaria, e piuttosto che rosicare da solo alza quel telefono.
Non lo so, non lo so.

*You don't know love, 'In this light and on this evening', Editors, 2009

domenica 3 gennaio 2010

guida 2010 a me medesimo

Come ricordava poco fa V., il duemilennove si era aperto all'insegna dell'Ecchissenefrega? e in effetti è stato l'anno dell'ecchissenefrega - un atteggiamento verso il mondo, un ritorno a criteri personali di rilevanza, di priorità, un cammino a ritroso per proseguire con se stessi. Bene. Fatto. Interiorizzato, fatto nostro, fatto mio. Ora ho deciso, stasera, poco fa, cosa sarà il duemileddieci: l'anno della Cattiveria, del non farne passare una, l'anno in cui mi metterò in mezzo alle cose e alle persone, l'anno in cui romperò i coglioni, l'anno in cui falcerò le gambe, l'anno in cui me la prenderò sul personale, perché ho lasciato troppe volte che le cose mi scivolassero di lato, ma ora che la scorza è dura, e non c'è accenno da parte esterna alla volontà di ammorbidirla, è ora che il mondo si scontri con me, fino a prova contraria questo è l'anno della mia cattiveria. Stica.