
Tutto questo non ha senso. È stato il mio buongiorno, la prima frase che è uscita dalla mia bocca, rivolta al pubblico muto di una stanza ancora avvolta nel sonno. L'urlo dimesso, lo sbadiglio primordiale della resurrezione quotidiana: supino, gli occhi sbarrati nel bianco del soffitto, gli arti inermi e senza forza, di me solo una sagoma scavata in un materasso. E troppo caldo, fuori si annuvola; troppo caldo, durante la notte mi sono liberato delle coperture. Tutto questo non ha senso. Parole di paura, cifre di una combinazione che aprirà una stanza di cui ignori l'arredamento, il contenuto. I pensieri sono la radice del nervosismo; le sinapsi, i nervi sollecitati dalle immagini: quanto manca, perché tutto finisca? Quanto manca? Quanto manca, perché tutto cominci? Come se ci fosse un tempo, una durata da far scorrere. L'orologio del cellulare si è automaticamente portato avanti di un'ora, ho perso il piacere di perdere la cognizione del tempo: quel mondo silenzioso in quell'ora che neghiamo. Tutto questo non ha senso. Le parole non si dicono a caso, le parole. Sono nervoso. Sto per stancarmi, sarebbe facile stancarmi, ma io non mi arrendo, non sono io quello che molla la presa, che lascia che le cose seguano un clinamen di disfatte senza significato, senza senso. Tutto questo non ha senso. Un mantra, come una rivelazione; ma dopo, cosa viene? Le parole non si dicono a caso. C'è solo da pensarci. Solo. Solo. Non ne faccio un problema, il problema è che c'è stato un problema. La proiezione nel futuro comporta che questo risulti un insignificante dosso. Lasciami solo, lasciati solo. Come può servire? Ne faccio un problema o solo una domanda? Dire, ho detto. Tutto questo non ha senso. Cosa c'è che non va? Qual è il problema? L'italiano a volte è misero linguaggio, la parola è quella, quando non c'è progresso perché manca una soluzione. Poi c'è il pretesto, ma non c'è pretesto senza motivo; o movente. Perché tutto questo non ha senso, ancora. E dopo, cosa c'è?