lunedì 28 marzo 2011

a forma di naso

«In un incerto compromesso fra la mia anima ed il suo riflesso.»


«Amami soltanto se tu sai il mio nome, amami se riconoscerai il mio odore.»


not my name

Tutto questo non ha senso. È stato il mio buongiorno, la prima frase che è uscita dalla mia bocca, rivolta al pubblico muto di una stanza ancora avvolta nel sonno. L'urlo dimesso, lo sbadiglio primordiale della resurrezione quotidiana: supino, gli occhi sbarrati nel bianco del soffitto, gli arti inermi e senza forza, di me solo una sagoma scavata in un materasso. E troppo caldo, fuori si annuvola; troppo caldo, durante la notte mi sono liberato delle coperture. Tutto questo non ha senso. Parole di paura, cifre di una combinazione che aprirà una stanza di cui ignori l'arredamento, il contenuto. I pensieri sono la radice del nervosismo; le sinapsi, i nervi sollecitati dalle immagini: quanto manca, perché tutto finisca? Quanto manca? Quanto manca, perché tutto cominci? Come se ci fosse un tempo, una durata da far scorrere. L'orologio del cellulare si è automaticamente portato avanti di un'ora, ho perso il piacere di perdere la cognizione del tempo: quel mondo silenzioso in quell'ora che neghiamo. Tutto questo non ha senso. Le parole non si dicono a caso, le parole. Sono nervoso. Sto per stancarmi, sarebbe facile stancarmi, ma io non mi arrendo, non sono io quello che molla la presa, che lascia che le cose seguano un clinamen di disfatte senza significato, senza senso. Tutto questo non ha senso. Un mantra, come una rivelazione; ma dopo, cosa viene? Le parole non si dicono a caso. C'è solo da pensarci. Solo. Solo. Non ne faccio un problema, il problema è che c'è stato un problema. La proiezione nel futuro comporta che questo risulti un insignificante dosso. Lasciami solo, lasciati solo. Come può servire? Ne faccio un problema o solo una domanda? Dire, ho detto. Tutto questo non ha senso. Cosa c'è che non va? Qual è il problema? L'italiano a volte è misero linguaggio, la parola è quella, quando non c'è progresso perché manca una soluzione. Poi c'è il pretesto, ma non c'è pretesto senza motivo; o movente. Perché tutto questo non ha senso, ancora. E dopo, cosa c'è? 

mercoledì 23 marzo 2011

play:wednesday

♫ Turin Brakes, Red Moon ♫
The Shin, Split Needles ♫
♫ The Cranberries, Ridicolous Thoughts
Editors, I Want A Forest ♫
Alex Gardner, I'm Not Mad
Negramaro feat. Dolores O'Riordan, Senza fiato ♫


odio i mercoledì 

martedì 15 marzo 2011

play:tuesday

♫ Nick Cave feat. Enya, (Don't Fear) The Reaper ♪
Subsonica, L'ultima risposta
♫ Estopa, Tus ojitos rojos
♫ Ludovico Einaudi, Bella notte ♪
♫ Turin Brakes, Jack In A Box ♪

► play : tuesday

lunedì 14 marzo 2011

play:monday

♫ Kings of Leon - Closer
♫ Joanna Newsom - Good Intentions Paving Company
♫ The National - Conversation 16
♫ Idlewild - If It Takes You Home
♫ Erik Satie - Gnossienne No. 1


► play : monday

domenica 6 marzo 2011

non indurre tentazioni, deducile dal male

No, è che sono appena tornato dal matrimonio di un amico di famiglia. Il figlio degli amici di famiglia, in pratica noi eravamo loro dirimpettai di pianerottolo e quindi nel tempo dell'infanzia loro furono seconda famiglia per me. Dicevamo, questo matrimonio. Vorrei fissare su "carta" alcune osservazioni. 
Primo: a quanto pare è l'anno dei viola e dei lilla, per tutti. Secondo: questa moda di scegliere per la cerimonia posti sperduti a cinquanta kilometri da casa, deve finire. (Soprattutto se è un luogo dove è impossibile essere arrivati per caso e "Oh, guarda, che bella chiesa, ci sposiamo qui?") Terzo: questa cosa di scegliere per il momento del cibo posti sperduti nella campagna più fredda, deve finire. ("Ma è un loft" e chi se ne frega?) Quarto: sembra essere ormai molto chic (a radical?) andare a un matrimonio vestiti come se si stesse andando in un qualsiasi altro posto, camicie fuori e stropicciate e felpe con il cappuccio e jeans. (Mi sembra normale mantenere un certo dress-code, non costa nulla.) Quinto: questa cosa di costringere le persone a ballare è peggio di quella volta in cui Marco Carta vinse Sanremo. Potrei andare avanti, ma ho solo voglia di attivare la modalità reset e tornare con la memoria a prima di tutto questo. Sacrifico il ricordo di un'intera giornata per un po' di pace interiore. Sembra poco?  

mercoledì 2 marzo 2011

doors open on the right

Lo so, manco da molto. O almeno a me sembra molto. Credo di mancare da quando avevo una vita sociale, da quando il lavoro (bellissimo, ganzissimo, adorabile, realizzantissimo e tutto quanto quello che volete) ha smesso di adoperare una scansione temporale tradizionale e "sai quando arrivi, non sai quando vai via" o una cosa del genere; da quando le cose da seguire sì sono moltiplicate per quattro - o almeno tre virgola cinque; da quando devi inventarti quotidianamente un valore. Bene. È da quel momento che vedo la mia vita sociale lasciare il posto a una mesta esistenza bipolare: casa lavoro lavoro casa. Tra i due estremi non c'è alcuna gamma oppure c'è una varietà di stati della medesima stanchezza. Non è solo una stanchezza fisica, è soprattutto in modo di non avere le energie per. Per uscire nelle serate lunedì-venerdì, per tentare di (ri)stabilire dei contatti, prendere treni che pensavi di aver perso, frequentare un rimedio a quella sensazione di abbandono e solitudine che poi sì ciba del suo circolo vizioso: ti senti troppo singolo, vorresti uscire con qualcuno che te lo propone, finisci per (dover) declinare o procrastinare l'invito, torni a casa nella stanchezza e in quel momento senti il bisogno di non stare solo, quindi ti senti solo. E ricomincia. È che le cose ti assorbono, e ti ritrovi a scrivere un post del tuo blog mentre torni a casa, l'ennesima volta, verso la solitudine di un qualche Yellowstone e dei suoi Yoghi e falegnami. Sperando che ci sia qualcuno che come te ha solo bisogno di sentirsi abbracciato.