sabato 27 febbraio 2010

dispaccio n. 0

PROLOGO

L'ora della partenza si avvicina. Quello che non c'è, manca. Mancherà, e la lacuna la si colmerà in futuro, secondo necessità. «Consideriamo il concetto di valigia come cosa limitate» dice A., «fare la valigia implica l'esclusione di qualcosa, dunque non puoi avere alcun sentimento di definitività. Mettici solo quello che vorresti portare. Nella valigia ci puoi mettere tutto quello che vuoi, se vai in un posto nuovo non devi essere null'altro rispetto a quanto non vorresti essere».
Esatto, la tensione tra dover essere, ossia costituire un bagaglio definitivo, e il voler essere, lasciarsi aperte le possibilità del coinvolgimento nel circuito locale della necessità. Vince la volontà di non essere proprio del tutto. Ho comprato le suppellettili tecnologiche che è bene avere con sé per evitare di non trovarle lì. D'altra parte non ci saranno mai abbastanza mutande, per non parlare delle calze. So già che la prima settimana si tratterà di procurarsene secondo il genius loci. Ancora poche ore. Fra poche, una cena a base di pesce con la famiglia, quella anagrafica. Poi, la lunga notte prima della partenza. I sussulti da l'ho-messo-in-valigia? e i pensieri sullo scenario futuro prossimo. E il blocco del traffico.

sabato 20 febbraio 2010

karma apparente

Ne mancano otto, di giorni, alla mia partenza verso la città del mio prossimo trimestre. Sono eccitato, molto eccitato. Gasato. Pronto per prendermi sul muso bastonate, ma con coscienza. Partirò per un viaggio non lungo, ma mica poco. Destinazione iberica, il vostro corrispondente dal català. Guardo sulle mappe dove vivrò, e so già con chi vivrò, ma ho già detto a chi doveva saperlo questa informazione spassosa. Mancano solo otto giorni, e io non sono ancora a Milano, non so da dove cominciare per preparare. Estoy listo, ma senza lista.

La città è fantastica, ricca di sorprese si rivelerà?

Non conosco affatto quei luoghi, quella cultura. Affidabili guide ne ho trovate, persone già state che ritroverò nel gruppo di missionari di cui faccio parte.

Hai paura?

Otto, meno otto.

giovedì 4 febbraio 2010

la furia di g.


Oggi io odio.
Oggi io sono un demone.

È una settimana che faccio sesso in cam con un quarantenne della provincia di Como, il cui rapporto con il compagno di una vita comincia a mancare di passione e stimoli. Lo faccio perché mi sento desiderato, lui mi caga.
Il committente del lavoro natalizio rompe ancora i sacrosanti, crea problemi e continua a non capire. Io per quel maledetto lavoro mi sono preso una bronchite asmatica, al freddo altoatesino.
Sono in attesa di sapere se riuscirò a ingranare la marcia e a far muovere il primo tassello del mio progetto di vita altrove. Se partirà e abbandonerò tutto questo che mi circonda, tutte quelle pedate nel didietro che ho ricevuto da quando mi sono laureato.
Sono laureato da quasi un anno e mezzo e non ho potuto fare niente con la mia laurea. Ho ventisette anni e non ho fatto altro nella vita se non studiare, ho fatto un master per non sentirmi completamente inutile. Ora sono preparatissimo ma inutilissimo sul mercato; sono soddisfatto di quello che so, e che sono, ma questo non vale per gli altri.
Intorno a me le persone continuano a lamentarsi per cose che alla fine, per me, non sono così importanti, o così tanto bisognose di lamentazioni.
Se non stai bene con il tuo ragazzo, lascialo. Se non ti piace proprio il tuo lavoro, lascialo. Se hai un lavoro che ti permette di andare avanti, di costruire qualcosa, anche se non è ancora il lavoro della tua vita, per ora stai zitto e goditelo. È strumentale ad altro. Se ha una storia che per un motivo o per un altro non è la storia dei film, ma un po' ci stai bene e vedi qualcosa in fondo al tunnel, zitto a vai avanti.
State tutti zitti, siate essenziali, asciutti, pochi fronzoli. Ci sono cose che vanno, e cose che non vanno. Per le cose che non vanno, ci lavoriamo con calma. Le cose che vanno, vanno.
Ognuno si prenda la responsabilità delle proprie azioni, senza poi lamentarsi.
Io non mi lamento per quello che ho fatto, e trovo poco sensato lamentarmi per quello che non ho fatto, che ho deciso di non fare.
Mia cognata mi chiede: e l'amore? E io cosa posso rispondere? Quale amore? Cos'è? Dov'è? C'è davvero qualcuno qui in grado di fare questo fottutissimo amore?
Me ne voglio andare, qui ho incontrato solo persone superficiali, stupide, vuote, stronze, che mi hanno preso in giro, che non mi sanno apprezzare.
Mi dicono che l'amore è raro, ma lo sarà l'Amore, non l'amore, essere speciali per qualcuno, sentirsi desiderati e importanti per una persona soltanto.
Non piaccio, non corrispondo a un modello vincente, non frequento locali e non ho l'istinto di farlo, per questo devo rimanere solo a vita? Io non credo in questa condanna.
Sono simpatico, dolce, intelligente e colto. Un bell'amico, come si suol dire. Ti faccio ridere, ti coccolo quando sei triste, ti aiuto nei compiti e ti so dire qualcosa che non sai, ogni tanto. Un vibratore ha le stesse funzioni, se ci pensate.
Questa è la forma migliore che ho potuto imparare ad avere. Non so che farci, mi rattrista pensare che tutto sia nella forma. A chi interessa il contenuto? Le mie quattro virtù sono contenuto, nulla se non c'è una forma canonica.
Credo che questo mondo, gay, sia diventato un mondo ingiusto, è peggiorato. È fatto di persone che nemmeno sanno cosa vuol dire essere gay, e pensano che voglia dire soprattutto chiedere se sei attivo o passivo, e metterti il cazzo da qualche parte a seconda dei casi.
Pochi capiscono che essere gay è un modo di amare, come essere non gay.
Sono stufo di questa baggianata, di tutta questa gente che non sa tenere un discorso normale, delle chat in cui se cerchi due chiacchiere non ti contatta nessuno, o se ti contattano dopo due righe si è già al "come sei?".
Sono stanco, e la stanchezza porta irritazione, porta rabbia, e questa rabbia, insieme a tutto quello che io potrei dare, è frustrante, si mescola e genera un malessere, così io non sono felice.
E nemmeno contento, sono triste, ma non triste disperato, triste abbattuto scoraggiato disilluso infastidito.
Cazzo, quanta solitudine ancora? Quanta?

Oggi io odio.

lunedì 1 febbraio 2010

sushi florence

Quanta solitudine, cazzo! Ieri sera camminavo per le vie di Firenze tutto solo, a cercare un posto dove mangiare da solo, e poi da solo sono finito a bere una sola birra da solo in un irish pub vicino all'ostello, dove dormivo da solo. Non conosco nessuno a Firenze, conosco persone ovunque: Torino, Venezia, Bologna, Trento, Bolzano, Trieste, Roma, Napoli, e diciamo pure Padova... Ma a Firenze nessuno. Così me ne vagavo per la città, cercando qualche locale gay (segnalatomi da C.), ma poi dicendo a me stesso: chi credi di prendere in giro? non sai andare da solo in un locale gay. e non si va da soli nei locali gay. Vai all'irish, pigliati due birre e poi a nanna. Ma cosa credi di fare?
Comunque parlavo da solo, irrimediabilmente.